giovedì 11 ottobre 2007

"Perché mi torturate?"


Il bellissimo libro di Adolfo Baravaglio (“Perché mi torturate?”), è un pugno in pieno stomaco, uno schiaffo in faccia, una doccia fredda in una giornata invernale. Si tratta del dettagliato elenco di tutte le azioni che un uomo ridotto da 18 anni in un letto è costretto a svolgere ogni giorno (e può svolgere soltanto) grazie all’aiuto della moglie. In seguito ad un incidente stradale, Adolfo resta immobile, può muovere solo il collo e un braccio.
Già Piergiorgio Welby si era raccontato con grande coraggio e con la forza delle sue parole che oggi trovano una naturale prosecuzione in questo libro che non lascia nulla all’immaginazione: l’obiettivo di Adolfo è, in una sola parola, radicale, perché punta allo scandalo senza girare intorno ai concetti. E ci riesce. Ciò che suscita è una infinita ammirazione. Si tratta del riconoscimento di una persona che, proprio nella descrizione letterale delle scene più devastanti per il suo corpo e per la sua quotidianità, dimostra un'incredibile dignità (come dice la moglie, “se andasse a peso la sua dignità supererebbe il quintale”) di uomo che non nasconde nulla, che vuole l’immedesimazione di chi non lo capisce e lo critica, che chiede di essere ascoltato.
Probabilmente, il momento più forte è nel racconto di Agnese, il suo angelo custode, volutamente cruda quando spiega come fa a pulire il marito o quando confessa di prendersela con Adolfo che non sarebbe dovuto uscire a cena con gli amici quella sera disgraziata; oppure quando si espone alla critica pubblica certa dichiarando di avere un amico e di vederlo costantemente senza entusiasmo o, ancora, di essersi rallegrata per l’aborto spontaneo avvenuto 15 giorni prima dell’incidente.
Non potrà dunque mancare di suscitare la più completa disapprovazione clericale e bigotta, di destra e sinistra, di quelli che “Ado non è amato abbastanza”; e lì, anzi da subito, noi tutti (ma come sempre i soli e soliti radicali) dovremo essere presenti e, dopo aver ascoltato il grido di dolore di quest’uomo, incaricarci di non cedere al ricatto trasversale che tenta da un anno di affossare un dibattito nato grazie a Piergiorgio. E che oggi trova nuovo vigore. Per il futuro di Adolfo e per la memoria di Piergiorgio.
Nella tragedia, il libro si chiude con le parole di speranza dell’Agnese, tanto forti quanto azzeccate: “…e se non avete ancora capito che questo è un inno alla dignità, alla libertà e all’amore, sì, porca miseria, anche all’amore, allora mi viene il sospetto che gli ufo siate voi. Non io”.

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