domenica 22 marzo 2009

Al congresso della Coscioni per l'alternativa liberale, anche a Francavilla.


Non meraviglia il continuo richiamo della sinistra francavillese ufficiale, nelle parole e nei fatti, a ideali e personaggi di una sola sinistra, quella democristiana e comunista, con la relegazione nel dimenticatoio dei rappresentanti della cultura laica, liberalsocialista, azionista, radicale: da Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini, dal Calamandrei contrario all’art. 7 della Costituzione e difensore della scuola laica, ai fratelli Rosselli, ad Altiero Spinelli, fino al Loris Fortuna divorzista, favorevole alla legalizzazione di aborto ed eutanasia e al socialismo libertario, tutti valori e personalità evidentemente sfrattati dall’album di famiglia di questa sinistra.
I nostri sono rappresentanti italiani dell’antitotalitarismo, padri dell’europeismo, della nonviolenza e della libertà come fine, non solo come metodo, perseguitati in vita da tutti i fascismi e neppure celebrati da una sola via a Francavilla (che invece preferisce dedicare il campo sportivo di tutti al rappresentante di una religione).
Il centrosinistra francavillese rifletta se non sia il caso di insinuarsi in un dibattito sul quale proprio perché il Paese si appassiona (ma non si spacca, se è vero che all’80% i cittadini italiani sono con noi su tutte le battaglie laiche), la politica e i partiti evitano di entrare il più possibile, e il monopartitismo italiano diventa sempre meno imperfetto. Lì dove non c’è lotta su fette di potere, la politica rimane a guardare e anzi preferisce scoraggiare ogni discussione.
Quale differenza c’è allora tra sinistra e destra su queste tematiche? Nessuna, anche perché non si spiegherebbe il mutismo degli esponenti politici, locali e non, su questi punti.
Non una sola manifestazione, non un appello, non un articolo in difesa e a sostegno di ciò che proponiamo noi: la responsabilizzazione come alternativa alla via italiana e clericale rispetto ai drammi sociali degli individui.
Si continuano a ritenere le nostre battaglie secondarie quando non dannose, piccolo-borghesi come fu il divorzio (quello che ha creato un milione e mezzo di nuove famiglie), si scaccia la discussione su quelle tematiche negli angoli bui della clandestinità così come ci si ignora non perché pochi e ininfluenti, ma perché pericolosi e vicini alla ragionevolezza della gente, delle "nonne" e dei credenti in altro che nella “roba”, come la chiamava Ernesto Rossi.
Chi si candiderà a sindaco cominci a mostrare la propria disponibilità all’ascolto partecipando al II congresso della Cellula Coscioni, perché è anche dalla capacità degli enti locali di ascoltare i cittadini che partono le riforme necessarie al nostro Paese.

2 commenti:

savino d'andrea ha detto...

Caro Sergio, apprezzo quanto cerchi di fare per la società tutta e quella francavillese in particolare. Di te ho stima per la sensibilità con cui ti poni nei confronti di problemi scomodi, a volte totalmente e volutamente ignorati ma di grande spessore sociale e politico. Ammiro la tua fermezza, l’intelligenza che certamente ti aiuta in queste tue quotidiane battaglie, la determinazione senza la quale non approderesti da nessuna parte.
Non volevo assolutamente mancare al (tuo) Congresso della Cellula Coscioni ed in effetti, malgrado una serie di impegni non di poca importanza, ho deciso fermamente di esserci.
Credo di aver fatto la scelta giusta. Non sono affatto pentito. Anzi, devo ringraziarti per l’arricchimento umano, morale e sociale che tu e quanti hanno preso la parola mi avete fornito.
Ho appreso dalle tante testimonianze presenti che non ci sono solo i casi che l’azione mediatica del nostro secolo ci propina con particolari, a volte imbarazzanti, a cui il normale cittadino, se lasciato solo (e solo lo è), non sa dare alcuna risposta logica, ma anche circostanze, per così dire, di quelle sotto casa.
Mi è da subito, dai primi commenti che ho ascoltato, balzato in testa, con la forza di un macigno, la mia personalissima vicenda che solo oggi, per la prima volta e con tanta fatica, ho avuto il coraggio di raccontare prima a mio figlio e adesso di proporre all’attenzione del tuo sensibilissimo ascolto. Vengo al racconto:
- Mio padre si ammala del morbo di Parkinson. I sintomi visibili della sua malattia iniziano a manifestarsi attorno all’età di 50 anni, gradualmente cessa ogni attività motoria per i disturbi del movimento muscolare, tanto da costringerlo prima su una sedia a rotelle e poi steso in un letto per gli ultimi 4 anni della sua esistenza, di cui gli ultimi due ne è completamente paralizzato. Non sto a descriverti le sue condizioni penose, a me sembrava un vegetale staccato dalle sue radici. Immagina anche la sofferenza di chi lo aveva conosciuto come un uomo instancabile, in continuo movimento e sempre pronto a darsi da fare indistintamente per tutti. I colleghi e gli amici più vicini a lui lo chiamavano Sant’Angelo per la sua propensione che aveva verso il prossimo. Inizia, da questo momento, un successivo calvario, quello, come si usa dire dalle nostre parti, delle “carte”. Qui avverto, in questo Stato, le innumerevoli ingiustizie sociali, le molte, tante, tantissime umiliazioni. Una per tutte. Fu portato a Brindisi con un autoambulanza e sistemato su una barella predisposta al centro di un salone, fu messo all’attenzione di occhi esperti (si fa per dire) che dovevano verificarne lo stato di avanzamento della malattia, per poi decidere se concedere o meno l’assegno di accompagnamento. Se avessimo saputo di quella teatrale sceneggiata non avremmo mai accettato una mortificante azione di quel tipo. Sarebbe bastato rivolgersi al politico di turno, mi suggerì in seguito un conoscente, facendomi nomi di chi prende l’accompagnamento senza averne necessità. Ma nei confronti di mio padre, persona onestissima, sarebbe stato ancora più disonorevole. Fu all’inizio della sua costrizione a letto, che mi chiese quello che non ho mai avuto il coraggio non solo di fare, ma neanche di pensare di dover prendere in considerazione: aiutarlo a morire dignitosamente -
Non è per giustificarmi, ma come può una persona lasciata sola di decidere, pensare di praticare eutanasia o suicidio assistito o cose di questo tipo senza avere la pur minima conoscenza in materia? E la coscienza dove la mettiamo, la mia coscienza, la coscienza di un figlio, come potevo affrontare un omicidio, perché di questo si tratta secondo una legislatura anacronistica. Dove sta la solidarietà sociale, dove sta lo Stato?
Ora mi sento più libero, avverto di meno il peso della scelta che non seppi, allora, non solo fare ma nemmeno prendere in considerazione.
Chiudo qui. Non voglio approfittare del tuo tempo. Permettimi di concludere con un grande e sincero grazie.
Grazie, Sergio!

Savino D’Andrea

sergio tatarano ha detto...

Carissimo Savino,
ti ringrazio infinitamente per aver reso ad altri, qui, il tuo racconto personale. Hai scritto inizialmente ciò che volevo che venisse fuori: la vicinanza dei drammi alla vita di tutti i giorni, il fatto che ognuno pensa superficialmente di potersi estraniare da problemi come la fine della vita, che invece riguardano tutti noi, sempre di più. Chi ha avuto occasione di affrontare il dramma della morte di una persona cara, spesso è riuscito anche a fare tesoro di quella tragedia e a trasformarla in opportunità di riflessione. Nella mia azione politica c'è tanto della mia vicenda personale, c'è il vissuto che va al di là di ogni ipocrisia. Se un merito ha la mia cultura politica e l'attività della mia associazione, è sicuramente quello di essere dalla parte di quelle persone che vivono e si confrontano quotidianamente con la vita e che amano la legalità, rispettano la civiltà giuridica del loro Paese, come Beppino Englaro e Piero Welby, che non si sono rassegnate alla clandestinità italiana.
Nella esperienza che hai raccontato, è evidente come ti sia stato chiesto qualcosa che tu non dovevi né potevi soddisfare; si tratta di un'emblematica vicenda nella quale lo Stato ha lasciato un proprio cittadino da solo, costringendolo a dover fare in solitudine i conti con la propria coscienza. Questo è lo scandalo.
Ti ringrazio per l'iscrizione e mi auguro di intraprendere un proficuo percorso di arricchimento comune.