sabato 29 dicembre 2007

Auguri alla sinistra francavillese.



Mi spiace tanto non essere stato presente a nessuna delle giornate della festa della sinistra francavillese, ma impegni vari mi hanno impedito di prendere parte a questo appuntamento. Me ne scuso.
Da quanto leggo sul sito, mi pare che si sia registrata una buona partecipazione di pubblico. Approfitto di questa occasione per esprimere qualche osservazione e rivolgermi a questi cari compagni cercando il più possibile di interloquire con loro, impresa non sempre facilissima.
Se fossi stato presente il primo giorno avrei preso la parola per sostenere come un partito libertario dovrebbe muoversi verso la fusione di tutte le proprie componenti, senza essere la somma di varie riserve indiane fatte da donne o giovani, ma solo da persone. Chi mi conosce sa bene come la penso a riguardo.
Il secondo giorno avrei preso la parola per rimarcare la necessità di un regime fondato, in materia di ambiente, su qualcosa di diverso dalla protezione di casa mia e dal “no” a tutto, ma piuttosto sul miglioramento di ogni strumento di governo della normalità, a partire dalla raccolta differenziata, ad esempio.
Avrei anche cercato, l’ultimo giorno, di chiedere quale sia, al di là della contrarietà ideologica ad una legge che ha creato circa tre milioni di posti di lavoro, la soluzione alternativa da “sinistra”. Avrei invitato i convenuti a chiedersi se, piuttosto che sprecare energie a garantire il pensionamento a chi è ancora vivo e produttivo (avendo 58 anni), non sia il caso di investire negli ammortizzatori sociali e nel reddito di inserimento, preoccupandosi di chi un lavoro non ce l’ha (e rifacendosi a quel progetto di abolizione della miseria di rossiana memoria), piuttosto che paralizzare il sistema per tutelare chi è già garantito e sindacalizzato.
Avrei voluto dire tutte queste cose e so bene che mi sarei tirato dietro pernacchie, fischi e magari qualche insulto mal trattenuto.
E’ una mia supposizione, magari sbagliata. Ma certo quando si leggono alcuni articoli l’impressione che se ne trae è di avere a che fare con un interlocutore rimasto ancorato a uno stile un po’ vecchio e superato eppure nella continua e cocciuta preoccupazione di rinnovarsi per spaventare il meno possibile, andando ad esempio a seppellire quell’ingombrante falce e martello che non deve essere più vista.
In un articolo ho letto che qualcuno parlava di vassallaggio, di feudalesimo e di opposizione in consiglio comunale senza palle. Mi è dunque subito tornato alla mente Bertinotti e la sua performance a dir poco inopportuna sulla maggioranza e su questo governo: come poteva un Presidente della Camera tuonare in quel modo, definendo terminata l’esperienza del centrosinistra? Ragioni di comodo, ragioni di opportunismo elettorale, ragioni di cinismo aritmetico. Allora, cari compagni, la serietà del vostro progetto deve misurarsi su questo, sulla possibilità di stare al governo senza perdere la credibilità, senza essere costretti, ad un certo punto della legislatura, a scegliere tra la scomparsa elettorale e il realismo politico. Il senso dello Stato non può essere un alibi per accettare tutto e il contrario di tutto, per castrarvi fino a che i sondaggi non vi obblighino al “testa o croce”: superare il popolo su posizioni da duri e puri, per garantirsi il 10% alle prossime elezioni, oppure restare al governo per evitare il ritorno di Berlusconi?
Vi saluto.

venerdì 28 dicembre 2007

Marco Cappato: Welby, un anno dopo.


"Al radicale Piergiorgio Welby sono riuscite due imprese grandi: la prima, di interrompere senza soffrire - ma anche senza nascondersi nella clandestinità - la tortura a cui era sottoposto; la seconda, di ottenere dalla giustizia italiana il riconoscimento della legalità dell'operato di Mario Riccio, di Mina, di Carla, dei suoi compagni. Si è trattato in realtà di un'unica grande impresa nonviolenta: far vivere sul proprio corpo il diritto e le libertà di tutti. Milioni di persone gli sono state a fianco, si sono riconosciute nella sua speranza, hanno vissuto e vinto con lui. Un anno dopo, l'Assemblea generale dell`Onu ha votato la moratoria mondiale delle esecuzioni capitali. Non poteva esserci modo migliore per celebrare questa data: due battaglie radicali, due battaglie «per la vita»: la vita che si sceglie, che non si deve poter togliere, che non si deve poter imporre. Sembra così semplice. Eppure per novanta giorni Piergiorgio si è dovuto spingere ai limiti delle proprie forze fisiche e mentali per non crollare, per trovare una soluzione sembrava non arrivare mai. Non ne poteva più di vedermi. Per lui, rappresentavo il tentativo estenuante di cercare strade alternative a quella che era già pronta da settimane: i medici belgi Eric Picard e Marc Resinger avevano completato l`iter di visite e referti medici necessario per procurarsi la sostanza eutanasica per lui. Erano pronti a somministrarla, su sua richiesta, al paziente Welby, seguendo la legge del proprio Paese e la propria deontologia professionale, pronti ad assumersi il rischio di non poter più mettere il piede in Italia, o peggio. Piergiorgio - per tanti anni sconosciutissimo e, con noi, clandestinizzato dirigente radicale, compagno delle battaglie di Luca Coscioni perla ricerca scientifica e i diritti delle persone disabili - non ne poteva più di una vita che non considerava più vita. Eppure nei tre mesi passati dalla lettera al Presidente Napoletano a quella notte del 20 dicembre riuscì - anche grazie alla risposta attenta e forte del Presidente - a compiere l'impresa di trasformare la propria sofferenza senza senso in una speranza per tutti. Un grido di resa, «lasciatemi morire», era divenuto affermazione vincente del diritto di interrompere un trattamento sanitario senza essere condannato a soffrire, del diritto di essere soggetto di una scelta invece che oggetto di scelte altrui, in balia di una macchina idolatrata e imposta come «sacra». Tre mesi di resistenza, con momenti di disperazione e sfiducia nei suoi compagni radicali - ricordo quando Piergiorgio, che non voleva più aspettare si scontrò con Marco Pannella chiedendo con rabbia a Mina che gli staccasse il respiratore - resero possibile il coinvolgimento della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, oltre che delle massime personalità istituzionali, di grandi personalità del mondo scientifico e del diritto.
Tanto autorevoli e numerose erano state le prese di posizione pubbliche che, quando da Cremona il medico anestesista Mario Riccio rispose all'appello dell'associazione Luca Coscioni, credeva ci fosse la fila di colleghi, magari ben più noti, disponibili ad agire concretamente secondo deontologia professionale. Si sbagliava: era il primo ed unico, toccava a lui. Solo se avesse fallito la difficile operazione (Piergiorgio non aveva vene facilmente rintracciabili) sarebbero intervenuti i medici belgi, con una vera e propria eutanasia). Se la memoria popolare di Welby rimarrà viva nel Paese - se, usando un'espressione di Sciascia, «la memoria avrà un futuro» -allora continuerà a produrre effetti di conoscenza, di diaologo, di riforma. Allora anche le conquiste laiche, dal testamento biologico alle coppie di fatto, potranno avere un futuro che la paralisi delle istituzioni e dei partiti sembra oggi negare. L'impresa che è rimasta da compiere è proprio quella della riforma della politica, della partitocrazia italiana, che ha consegnato al Vaticano il monopolio, anche mediatico, dell'«etica» e dei «valori». È un monopolio che ha cominciato a vacillare forse proprio con Welby, con la piazza piena di fronte alla Chiesa chiusa dei funerali negati; a mostrare debolezze e contraddizioni che non basta l'esercizio furbo del potere per ricomporre. E così oggi il Presidente della Commissione Sanità del Senato, Ignazio Marino, che Welby decise di incontrare, è accolto e riconosciuto in modo straordinario quando racconta alla gente il tentativo di portare, con moderazione e equilibrio, delle regole per aiutare pazienti e medici che si trovano a scegliere come accade già nella clandestinità per il 62% dei malati terminali - delle forme di desistenza delle terapie. Quando con Pannella proponemmo a Piero un ultimo ricorso al giudice, ci rispose «ora basta, devo concentrarmi sulla mia morte. E la prima volta che muoio». Se l'amore per la vita può strappare alla morte un sorriso, anche la speranza di ottenere buone leggi non è perduta".
L'Unità

di Marco Cappato

martedì 18 dicembre 2007

VITTORIA!!!


«Considerando che l'uso della pena di morte mina la dignità umana e convinti del fatto che una moratoria sulla pena di morte contribuisca al miglioramento e al progressivo sviluppo dei diritti umani; che non esiste alcuna prova decisiva che dimostri il valore deterrente della pena di morte; che qualunque fallimento o errore giudiziario nell'applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile; Accogliendo con favore le decisioni prese da un crescente numero di paesi di applicare una moratoria delle esecuzioni, in molti casi seguite dall'abolizione della pena di morte», l'Assemblea Generale: «Esprime la sua profonda preoccupazione circa la continua applicazione della pena di morte, invita tutti gli Stati che ancora hanno la pena di morte a: A) Rispettare gli standard internazionali che prevedono le garanzie che consentono la protezione dei diritti di chi è condannato a morte, in particolare gli standard minimi, stabiliti dall'annesso alla risoluzione del Consiglio Economico e Sociale, 1984/50; B) Fornire al segretario generale le informazioni relative all'uso della pena capitale e al rispetto delle garanzie che consentono la protezione dei diritti dei condannati a morte; C)Limitarne progressivamente l'uso e ridurre il numero dei reati per i quali la pena di morte può essere comminata; D) Stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dall'abolizione della pena di morte». «Invita gli Stati che hanno abolito la pena di morte a non reintrodurla; chiede al segretario generale di riferire sull'applicazione di questa risoluzione alla 63ma sessione; decide di continuare la discussione sulla questione durante la 63ma sessione allo stesso punto all'ordine del giorno».

sabato 15 dicembre 2007

Video conferenza stampa sulla moratoria.


Vista l'assoluta latitanza della stampa locale, che non ha dato la minima notizia dell'importante evento, vi invito ad ascoltare e guardare il video sulla conferenza stampa tenutasi venerdì 14 dicembre presso Teatro Imperiali. Ringraziamo per il loro intervento il Sen. Curto (AN), l'avv. Carlo Tatarano (PD), il Sindaco Marinotti ed Emanuele Modugno (segretario cittadino del PrC).

Buona visione.

http://www.radicalilecce.it/?q=node/1717

lunedì 10 dicembre 2007

CONFERENZA STAMPA TRASVERSALE.


Venerdì 14 dicembre alle ore 16, presso teatro Imperiali in Francavilla Fontana, è prevista una conferenza stampa che avrà ad oggetto la moratoria mondiale delle esecuzioni capitali.

Interverranno:

On. Marco Beltrandi - RnP

Sergio Tatarano - direttivo associazione radicale "Diritto & Libertà"


dott. Giuseppe Marinotti (Sindaco di Francavilla Fontana)

On. Luigi Vitali (FI)

Sen. Euprepio Curto (AN)

avv. Tommaso Resta (capogruppo al consiglio comunale per il PD)

avv. Carlo Tatarano (presentatore in consiglio comunale dell'odg a favore della moratoria)

Emanuele Modugno (consigliere comunale PrC )


Prevista la partecipazione di Radio Radicale.

giovedì 6 dicembre 2007

Segnali di fumo...




Il cinismo bertinottiano ha colpito ancora? Il leader comunista è intervenuto dichiarando fallita l’esperienza di governo. Ora: a parte l’irritualità di una simile affermazione proveniente da un Presidente della Camera, ciò che mi preme tentare di comprendere è dove Fausto il rosso voglia arrivare con quell’uscita piuttosto sconcertante. Sarà la caduta a picco nei sondaggi della nascente “Cosa rossa”, che pare non si attesti neppure al 5%, e il conseguente tentativo di volersi ritagliare uno spazio in un panorama politico che allo stato rischia di estromettere definitivamente i neo e veterocomunisti? Sarà la ricerca di un messaggio da far pervenire agli elettori, sfiduciati dai risultati modesti che la compagine di Giordano ha fino ad ora ottenuto? Se tutto ciò vale, allora si comprende bene come il PrC abbia tutto l’interesse ad andare al più presto a nuove elezioni, possibilmente determinando la fine dell’esperienza prodiana, prima che questo governo determini la fine del PrC. E già: perché stare all’opposizione garantirà ai “kompagni” la sopravvivenza politica con qualche manifestazione di milioni di cittadini, per la pace delle dittature o per quella sindacale. Insomma, per Bertinotti meglio stare all’opposizione con percentuali prossime al 10% che stare al governo non sapendo dove andare, non riuscendo a tenere insieme senso dello Stato, coerenza programmatica e opposizione alle derive centriste.

martedì 4 dicembre 2007

Pillole di saggezza firmate Berlustroni.



«Noi siamo stati portati ad assumere la responsabilità del governo da un sistema che io chiamo la religione del maggioritario, che gli italiani avevano voluto per mettere fine ad un altro sistema: quello del consociativismo che attraverso il metodo proporzionale aveva portato l’Italia ad avere 50 governi in 50 anni. La stragrande maggioranza degli italiani aveva voluto il maggioritario anche per mettere fine al potere dei partiti che chiedevano il voto agli elettori e poi usavano questo voto come volevano, incuranti del mandato che avevano ricevuto, per fare invece posto, questa era stata la voglia di maggioritario, alla decisione diretta della gente che in ciascun collegio può individuare il candidato a cui consegnare la propria fiducia» (Silvio Berlusconi, 17 febbraio 1995).
«Noi dobbiamo andare avanti lungo la strada del bipolarismo. Lo dico perchè non è affatto scontato. Perchè vedo soprassalti diffusi, intensi, di recupero di proporzionalismo. Quello che vorrei dire è che se non si va avanti in questa direzione il paese tornerà indietro; il destino del centro-sinistra, della coalizione, della sintesi di cui stiamo parlando avrà un senso solo con un sistema più maggioritario. Io sono pronto a discutere di tutto ciò che va dal 75% di maggioritario in poi. Tutto ciò che va dal 75% indietro per me non è tema di discussione» (Walter Veltroni, 12 novembre 1999).

lunedì 3 dicembre 2007

Lettera al dott. Melazzini.


La seguente lettera è stata da me inviata al dott. Melazzini, malato di SLA e primario del day-hospital oncologico alla Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, il quale terrà questa sera 3 dicembre un incontro a Lecce su eutanasia e testamento biologico. Quest’uomo è stato definito “l’anti-Welby” in quanto ha espresso la propria volontà di continuare a sottoporsi a tutte le cure necessarie e di vivere nonostante le atroci sofferenze. Non potendo essere fisicamente presente, ho ritenuto di scrivere qualche breve considerazione, nella speranza di incontrarlo in futuro.


“Leggo con interesse la mail inoltratami da un caro amico, nella quale si dà conto di una iniziativa alla quale parteciperà domani 3 dicembre il dott. Melazzini.
Sono referente dell’Associazione Coscioni di Brindisi e seguo da tempo la questione eutanasia-testamento biologico, cercando di pormi con la dovuta delicatezza, senza presunzione, all’interno di un dibattito estremamente complesso e spigoloso.
Non conosco personalmente il dott. Melazzini, né la sua specifica vicenda. Ho costantemente a che fare con gente colpita dal suo stesso male, con famiglie distrutte da un dolore incomprensibile e indescrivibile.
Non mi nascondo dietro ad un dito perché non ne ho motivo: pur essendo cosciente dell’attuale immobilismo politico sull’argomento, io lotto perché in Italia vi sia una legge che regolamenti l’eutanasia, oltre ad una che riconosca valore legale alle direttive anticipate o testamento biologico.
Preciso altresì, e non in senso contraddittorio, di non essere semplicisticamente “a favore” dell’eutanasia: né io né la mia associazione spingiamo i malati di SLA o distrofia a chiedere la morte, ma molto più “laicamente” ci battiamo per la libertà di scelta. D’altronde, i mille casi di eutanasia (clandestina) che ogni anno pare si registrino in Italia non lasciano scampo alle posizioni ideologiche, ma richiedono una immediata regolamentazione della materia, come già avvenuto per l’aborto.
Ciò che, però, nella mail mi ha colpito maggiormente è stato proprio il passaggio nel quale si dice che il dott. Melazzini vuole convincere che “la vita non può essere soppressa mai e per nessuna ragione”.
Ho grande rispetto per il dolore che affligge quest’uomo e mai vorrei che qualcuno sminuisse il valore della sua vita: la mia associazione, fatta da e per i disabili, prima ancora che per l’eutanasia, si batte per la vita indipendente, per l’uso di antidolorifici ed ha recentemente registrato una grande vittoria a livello politico, essendo riuscita a far stanziare, a livello nazionale (grazie all’impegno dei deputati della RnP), fondi pari a 10 milioni di euro per l’acquisto di comunicatori attraverso i quali tutti i malati costretti all’immobilità possano esprimersi.
Ma il rispetto verso il dott. Melazzini (e verso la sua scelta di continuare a vivere nonostante la sofferenza) è esattamente identico a quello che nutro e ho nutrito nei confronti di Piergiorgio Welby o di Giovanni Nuvoli, persone che avrebbero potuto essere ricordate come uomini comuni (e morti clandestini, come tanti) ma alle quali la storia ha voluto ritagliare il ruolo di eroi, battutisi per il riconoscimento di un diritto semplice, elementare: il diritto a non soffrire, il diritto alla morte (non dignitosa ma) opportuna, intesa come porto al quale approdano le sofferenze del malato.
D’altronde, chi siamo noi per dire che “non si può”? Era forse mia o nostra la vita di Piergiorgio o di Giovanni? E quella del dott. Melazzini?
Concludo con le parole di Cesare Scoccimarro, malato di SLA, contrario all’eutanasia per sé: “Mettiamo le persone come me nella condizione di scegliere cosa fare, se vivere con tre tubi nel corpo, uno in gola e uno nello stomaco, senza deglutire, senza respirare e però con le tue cose attorno. Ecco, mettiamo le persone nella condizione di poter andare avanti e poi lasciamole libere di scegliere: il corpo può essere una prigione ma è una prigione che si può anche accettare a certe condizioni. Se no è opportuno morire”.
Nella speranza che nessun confronto venga sopito da convenienze politiche, come purtroppo sta accadendo a livello parlamentare e non, esprimo la mia totale disponibilità ad un pubblico dibattito sull’argomento.
Un saluto”.