Nell’incontro tenutosi martedì sera presso la sede PD, alcuni partiti di opposizione si sono rivisti dopo mesi e mesi di guerra. Si è parlato di temi svariati, che andavano dal locale al nazionale. La sensazione che ho avuto personalmente è stata per alcuni versi incoraggiante, se prendiamo gli interventi di molti dirigenti del PD ma anche altri dirigenti politici fino a pochi giorni fa inavvicinabili; tuttavia restano ancora da chiarire diversi punti. In particolare, penso che alcune questioni poste siano fuorvianti: si parla ancora, per esempio, di unità come bene comune. Ritengo che l’unità sia utile ed abbia un senso se si realizza tra chi vuole dire le stesse cose, non se significa incerottarsi la bocca per evitare che vengano fuori analisi che non si condividono. Ma soprattutto, ci si è soffermati sul “centrosinistra” come casa di tutte le opposizioni. Si ripartiva dalla allucinante divisione del 2009 tra PD, da un lato, e sinistra estrema dall’altro, che ha portato le opposizioni storiche in consiglio ad essere rappresentate complessivamente da 4 consiglieri. Record negativo. Ebbene, l’aver rispolverato questo termine ieri è stato interpretato capziosamente da alcuni come un passo indietro, un modo per ammettere di avere sbagliato, in quel famigerato 2009. Stendo un velo pietoso su questo punto e vado oltre. Personalmente trovo che il centrosinistra-tanto più a livello comunale- non sia la mia casa: cosa significhi tale dicitura è veramente un mistero. Se intendiamo per centrosinistra un grande ammasso cattocomunista o magari quello dei difensori della Costituzione (quella in realtà violata da 60 anni), la cosa non mi riguarda. Se intendiamo tutti quelli contrari a Berlusca (ché lui è il nostro collante) o chi per lui, tanto meno. Penso che invece bisognerebbe partire dalle battaglie concrete, dagli obiettivi che ci si vorrà o potrà dare come vero unico collante di un gruppo di soggetti e partiti che vogliono aprire una strada comune. E, aggiungo, quegli obiettivi dovranno essere elemento di attrazione per chi ancora è fuori anche solo da incontri informali come quello di ieri e magari troverà convincente l’opzione formulata, anche se fino ad oggi è stato dall’altra parte. Il punto è questo: ieri non si è parlato di quanto dovrà essere estesa la coalizione, ma il dilemma prima o poi andrà affrontato e dovrà essere risolto solo in un modo: il pragmatismo laico rappresentato da un comune programma che possa servire da forza per la nascita di una nuova città. Dunque, partire non dal concetto di “allargamento”, ma dalla creazione di una coalizione attraverso l’individuazione di un metodo: analisi del sangue o condivisione dei progetti? Per quanto mi riguarda, dagli obiettivi, non da blocchi predefiniti, vetusti, superati, inutili e sui quali -se si dovesse insistere- andremo a sbattere per l’ennesima volta.
mercoledì 13 aprile 2011
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