Questa la domanda che Giavazzi e Alesina si sono posti nel loro ultimo libro. In realtà la loro è una affermazione vera e propria o, meglio, una conclusione preceduta da una lunga analisi nella quale si propongono di convincere il pubblico che l’apertura del mercato è una realtà tutt’altro che produttrice di ingiustizia.Oggi quale posto hanno vecchi stereotipi di (cosiddetta) sinistra come la lotta alla meritocrazia, come l’assistenzialismo, come la contrarietà ad ogni forma di apertura alla concorrenza? I due economisti portano l’esempio dei medicinali da banco il cui prezzo, in seguito alla liberalizzazione voluta da Bersani, è sceso del 20-30%, consentendo allo stesso tempo ad un numero notevole di laureati di inserirsi in un mercato che prima era chiuso.Soprattutto i più giovani possono sulla loro pelle confermare quale beneficio è stato creato in un mercato come quello telefonico (pensate se ci fosse solo la telecom)o quello aereo, in cui le compagnie come Ryanair e Easy-jet hanno sbaragliato il campo e sono divenute lo strumento grazie al quale oggi si può andare e tornare da Brindisi a Londra con poche decine di euro. Due estati fa sono andato a Stoccolma con meno di 100 euro; sul mio aereo viaggiava anche una giovane famiglia evidentemente modesta, che aveva trascorso la notte in aeroporto. Allora l’esistenza di queste compagnie si può dire che non sia dalla parte dei più poveri?E Alitalia? Si regge sui soldi degli Italiani e ormai con essa nessuno ci viaggia più.Perché questo sistema regga è indispensabile il lavoro delle autorità garanti, organi indipendenti tenuti a vigilare che il mercato non venga falsato a danno di chi se ne serve.La meritocrazia è un concetto di destra, dove per destra intendiamo conservatore, o di sinistra, ossia dalla parte del progresso, della giustizia? Beh, penso che se tanti settori del mondo del lavoro non funzionano lo si deve al fatto che si è trattati tutti allo stesso modo, chi rende e chi no, chi si impegna e chi no.Prendete la scuola: cosa succederebbe se gli insegnanti venissero retribuiti sulla base del loro rendimento? Oggi quelli che lavorano bene vengono inghiottiti dai nullafacenti. Licenziare un fannullone è un atto di giustizia tanto quanto lo è assumere un giovane brillante senza occupazione. La Danimarca resta il modello per tutta l’Europa in quanto permette di licenziare senza che però lo Stato lasci il lavoratore con le spalle scoperte, dandogli un sussidio di disoccupazione che può durare fino a tre anni, nei quali lo stesso lavoratore è tenuto a cercare( e a non rifiutare) un’altra occupazione. Alla legge 30, che ha creato tre milioni di nuovi posti, andrebbe affiancata allora una riforma proprio nel senso della creazione degli ammortizzatori sociali.E le pensioni? Si può pensare di smettere di lavorare a 57 anni quando l’età media arriva quasi a 90? Cosa è se non ideologia quella che impedisce di parlare di innalzamento dell’età pensionabile? D’altro canto, perché non si pensa ad un ribaltamento del concetto di pensione, da obbligo a facoltà? Perché si deve costringere un lavoratore a lasciare il posto una volta che ha raggiunto i 65 anni, obbligandolo a scegliere tra la depressione e il lavoro nero?E, ancora, perché le donne prima degli uomini, condannandole al lavoro a casa, alla dimensione di baby sitter e badanti?Insomma: il liberismo, inteso come superamento ed abbattimento delle lobby e dei monopoli(che significano ricchezza per pochi e servizi resi alle condizioni svantaggiose indicate da quei pochi), non può che essere una scelta votata alla creazione di nuovi posti di lavoro e nello stesso tempo all’abbassamento dei costi di tutti i servizi per coloro che se ne servono. Dunque non si può che concordare con le conclusioni dei due economisti.
martedì 25 settembre 2007
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8 commenti:
forse può essere utile per la discussione:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/09_Settembre/08/editoriale_liberismo.shtml
mmmmh io e la tecnologia viaggiamo su binari paralleli?!... :(
cmq...mi riferivo all'editoriale di Panebianco sul Corriere dell'8 settembre ;)
Sarebbe carino un dibattito sul tema. Se a qualcuno interessasse...ma purtroppo nella nostra Francavilla sta più a cuore parlare dei marciapiedi scassati...
Non so se il liberismo è di destra o di sinistra. Però mi ha fatto impressione il disprezzo di certa sinistra verso i Radicali Italiani anni fa quando questi ultimi hanno affrontato senza preconcetti - in solitudine - temi come il libero mercato, la riforma del welfare, la lotta al becero assistenzialismo. Furono ribazzettati "radical-fascisti". Per non parlare della CDL che si erge a paladina del libero mercato ma poi si impantana a tutelare solo i propri "azionisti".
beh si potrebbe organizzare cmq no...?del resto anche dopo una storta presa in un marciapiedi scassato urge un farmaco..(magari da banco!);)...cmq,al di là dello scherzo,e al di là delle provocazioni contenute nel libro a partire dal titolo...il liberismo è uno di quei fenomeni che,volenti o nolenti,bussa alle nostre case...sarebbe interessante...provare a dare un paio di risposte che chiariscano meglio le idee...prendi la liberalizzazione(uno degli elementi del liberismo)di alcuni settori(quelli che citi tu..farmaci..trasporti)...beh..rappresenta davvero la liberalizzazione del mercato in toto...o ancora, è davvero il primo passo...e il liberismo è davvero la chiave per il raggiungimento di obiettivi come l'efficacia e l'efficienza?....prendiamo ancora, la privatizzazione del pubblico impiego o di alcuni settori che son cresciuti(anche per tradizione politica e culturale)sotto il controllo statale...la domanda che risale è:la privatizzazione è davvero la soluzione?...o ancora il liberismo avvantaggia davvero quante più categorie di utenti?...io credo davvero sia interessante parlarne...con chi soprattutto di economia e società può dare un quadro più chiaro
non ho ancora letto il libro.
ma, tra i vari tentativi di "strumentalizzare" il lavoro di alesina e giavazzi, ho trovato questo chiarimento molto interessante. e soprattutto condivisibile.
come il post di Sergio.
http://www.radicali.it/view.php?id=104256
Ho appena letto il pezzo di Alesina suggerito da te...utile indubbiamente a fare il punto delle polemiche...ma alla fine vi ho ritrovato la stessa domanda che ho posto su...il liberismo serve davvero ad efficienza ed efficacia...?
Io penso che la concorrenza ha prodotto, nei settori in cui è stata lanciata, solo benefici. Non è sovrapponibile il concetto di privatizzazione con quello di liberalizzazione. La privatizzazione in sè, può non dare benenfici: un privato può non saper gestire un determinato settore esattamente quanto lo Stato. La liberalizzazione invece impone una continua tra soggetti che hanno l'interesse di prevalere l'uno sull'altro.
Prendiamo la P.a.: quante volte ci lamentiamo (tutti, compresi i cosiddetti comunisti) dell'inefficienza di un ente pubblico, dove siamo alla mercè degli addetti e del loro scazzo quotidiano? Se sono osservati e sanno di non poter fare i nullafacenti, lavoreranno al massimo. E d'altro canto l'azienda avrà tutto l'interesse affinché essi lavorino bene.
Un punto fondamentale sta nella concorrenza: si dice che spesso le varie aziende usano adottare i cartelli(ossia decidere di fissare un prezzo al di sotto del quale non scendere): è in questi casi che deve operare l'Autorità garante, indipendente e in grado di evitare quelli che di fatto si trasformano in oligopoli.
E ancora lo stesso vale per tutti quei settori come la scuola ad esempio dove spesso ci siamo lamentati del fatto che su dieci professori ne avremmo "salvati"uno o due: purtroppo quelli che lavorano vengono fagocitati dagli altri che non fanno niente, guadagnano la stessa cifra e non saranno mai licenziati (a meno che non commettono praticamente un omicidio...).
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