lunedì 3 dicembre 2007

Lettera al dott. Melazzini.


La seguente lettera è stata da me inviata al dott. Melazzini, malato di SLA e primario del day-hospital oncologico alla Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, il quale terrà questa sera 3 dicembre un incontro a Lecce su eutanasia e testamento biologico. Quest’uomo è stato definito “l’anti-Welby” in quanto ha espresso la propria volontà di continuare a sottoporsi a tutte le cure necessarie e di vivere nonostante le atroci sofferenze. Non potendo essere fisicamente presente, ho ritenuto di scrivere qualche breve considerazione, nella speranza di incontrarlo in futuro.


“Leggo con interesse la mail inoltratami da un caro amico, nella quale si dà conto di una iniziativa alla quale parteciperà domani 3 dicembre il dott. Melazzini.
Sono referente dell’Associazione Coscioni di Brindisi e seguo da tempo la questione eutanasia-testamento biologico, cercando di pormi con la dovuta delicatezza, senza presunzione, all’interno di un dibattito estremamente complesso e spigoloso.
Non conosco personalmente il dott. Melazzini, né la sua specifica vicenda. Ho costantemente a che fare con gente colpita dal suo stesso male, con famiglie distrutte da un dolore incomprensibile e indescrivibile.
Non mi nascondo dietro ad un dito perché non ne ho motivo: pur essendo cosciente dell’attuale immobilismo politico sull’argomento, io lotto perché in Italia vi sia una legge che regolamenti l’eutanasia, oltre ad una che riconosca valore legale alle direttive anticipate o testamento biologico.
Preciso altresì, e non in senso contraddittorio, di non essere semplicisticamente “a favore” dell’eutanasia: né io né la mia associazione spingiamo i malati di SLA o distrofia a chiedere la morte, ma molto più “laicamente” ci battiamo per la libertà di scelta. D’altronde, i mille casi di eutanasia (clandestina) che ogni anno pare si registrino in Italia non lasciano scampo alle posizioni ideologiche, ma richiedono una immediata regolamentazione della materia, come già avvenuto per l’aborto.
Ciò che, però, nella mail mi ha colpito maggiormente è stato proprio il passaggio nel quale si dice che il dott. Melazzini vuole convincere che “la vita non può essere soppressa mai e per nessuna ragione”.
Ho grande rispetto per il dolore che affligge quest’uomo e mai vorrei che qualcuno sminuisse il valore della sua vita: la mia associazione, fatta da e per i disabili, prima ancora che per l’eutanasia, si batte per la vita indipendente, per l’uso di antidolorifici ed ha recentemente registrato una grande vittoria a livello politico, essendo riuscita a far stanziare, a livello nazionale (grazie all’impegno dei deputati della RnP), fondi pari a 10 milioni di euro per l’acquisto di comunicatori attraverso i quali tutti i malati costretti all’immobilità possano esprimersi.
Ma il rispetto verso il dott. Melazzini (e verso la sua scelta di continuare a vivere nonostante la sofferenza) è esattamente identico a quello che nutro e ho nutrito nei confronti di Piergiorgio Welby o di Giovanni Nuvoli, persone che avrebbero potuto essere ricordate come uomini comuni (e morti clandestini, come tanti) ma alle quali la storia ha voluto ritagliare il ruolo di eroi, battutisi per il riconoscimento di un diritto semplice, elementare: il diritto a non soffrire, il diritto alla morte (non dignitosa ma) opportuna, intesa come porto al quale approdano le sofferenze del malato.
D’altronde, chi siamo noi per dire che “non si può”? Era forse mia o nostra la vita di Piergiorgio o di Giovanni? E quella del dott. Melazzini?
Concludo con le parole di Cesare Scoccimarro, malato di SLA, contrario all’eutanasia per sé: “Mettiamo le persone come me nella condizione di scegliere cosa fare, se vivere con tre tubi nel corpo, uno in gola e uno nello stomaco, senza deglutire, senza respirare e però con le tue cose attorno. Ecco, mettiamo le persone nella condizione di poter andare avanti e poi lasciamole libere di scegliere: il corpo può essere una prigione ma è una prigione che si può anche accettare a certe condizioni. Se no è opportuno morire”.
Nella speranza che nessun confronto venga sopito da convenienze politiche, come purtroppo sta accadendo a livello parlamentare e non, esprimo la mia totale disponibilità ad un pubblico dibattito sull’argomento.
Un saluto”.

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