mercoledì 4 maggio 2011

In risposta al comunicato dell'associazione Medici Cattolici di Brindisi (da Senza Colonne del 3-5-2011).








Di seguito, la mia replica al comunicato dei Medici Cattolici di Brindisi sul tema del fine vita.

Pur apprezzando la disponibilità al dialogo, trovo oltremodo discutibile nel merito la nota dei Medici Cattolici i quali hanno tentato in maniera piuttosto smaccata di modificare l’oggetto della discussione, introducendo argomenti fuorvianti.
Non mi sottraggo comunque al dibattito ed anzi ne approfitto per chiedere un confronto pubblico sul tema del fine vita.
Sono scomparse dalla nota idratazione e nutrizione artificiali, oggetto invece in Parlamento di una discussione falsata visto che a livello scientifico non è dibattuto se siano o no trattamenti medici. L’OMS ha risposto positivamente a tale domanda. Tali trattamenti non dovrebbero pertanto poter essere imposti per legge, diversamente da quanto ideologicamente previsto finora dal ddl Calabrò.
Ma nella nota a firma dell’Associazione Medici Cattolici si dichiara che la vita prescinde dal benessere dell’uomo. Non v’è chi non veda in tale affermazione una esasperazione di una visione materialistica, che non si cura minimamente dell’uomo come essere pensante, come soggetto in grado di relazionarsi col mondo e si guarda al dolore come ad un aspetto del tutto secondario: e non è casuale quindi che in un’idea del genere, nella fase di promozione di una legge, la volontà dell’uomo e i suoi desideri passino in secondo piano e soccombano rispetto alla necessità di imporre una concezione di vita di alcuni su tutti gli altri. Al contrario, io non voglio stabilire in cosa consista la vita, se trascorrerla senza possibilità di muoversi, parlare o comunicare sia indegno oppure no, ma vorrei lasciare che ognuno ne attribuisse il significato che ritiene. E solo una visione rispettosa della scelta individuale può essere anche in grado di partorire una legge liberale e laica.
Nella nota, si ridicolizza ancora una volta il principio di autodeterminazione, utilizzando concetti quali “desiderio capriccioso dell’individuo”, dimenticando che stiamo parlando di trattamenti medici delicatissimi, con tutto il carico di dolore che gli stessi si portano dietro.
Si rifiuta l’idea del “diritto alla non cura”, ma ci si dimentica dei casi degli ultimi anni; si dice che “la persona ha la facoltà di sottrarsi alle cure, ma senza pretendere che il medico collabori con lui in questo intento”. L’art. 32 ci consente già oggi, come noto, di non sottoporci ad un trattamento chemioterapico, andando incontro alla morte. E non dovrebbe poi consentirci anche di sospendere una cura intrapresa (così, il dott. Riccio che aiutò Welby sarebbe un assassino e Welby un “bambino capriccioso”?)? E in questo senso perché ciò non dovrebbe valere anche per chi non è in grado di comunicare ed ha lasciato delle direttive scritte?
Come spesso accade, si agita lo spauracchio dell’Olanda quale esempio di Stato che promuove l’eutanasia per i bambini. L’eutanasia sui minori di dodici anni è una pratica eccezionale prevista in caso di estreme sofferenze del bambino, non alleviabili secondo le classiche terapie del dolore, a fronte di una prognosi disperata, e che ovviamente abbisogna del consenso dei genitori. Se si analizzassero poi laicamente i dati sulla legge olandese si scoprirebbe che legalizzare l’eutanasia ha garantito sia un controllo sul fine vita sia un aumento delle cure palliative e quindi una riduzione della sofferenza per tanti malati. In Italia possiamo invece solo tentare delle stime imprecise, come i circa mille casi l’anno di eutanasia clandestina, compiuta cioè fuori da qualunque controllo. Una legge sul fine vita impostata secondo i criteri del ddl Calabrò, come unico risultato, garantirà l’aumento di fenomeni di clandestinità e non la promozione della vita come vorrebbero i sostenitori di questo ddl.
Infine, di quale alleanza terapeutica parliamo? Il medico, si dice, opera solo per il “bene” del paziente, il quale – a ben vedere- non ha più voce in capitolo: cioè, il medico decide cosa è bene per il paziente. Idea, questa, da Stato etico, Stato cioè che si sostituisce al soggetto interessato, sopprimendo la libertà dello stesso. Ma –s’intende- tutto per il “bene del paziente”!

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