Appena pochi giorni fa, qualcuno rispondeva alla mia richiesta di maggiore informazione sessuale (e installazione di preservativi) nelle scuole, sostenendo che si tratterebbe di un argomento, il sesso, di esclusivo appannaggio delle famiglie. A ciò replicavo “Cosa diciamo alla ragazzina che rimane incinta nella solitudine, nel proprio dramma umano e personale e che non può neppure tornare a casa guardando negli occhi il genitore?”.
Sfoglio il giornale dopo qualche giorno e leggo il caso di quella quindicenne che ha deciso di portare avanti la gravidanza contro la volontà dei propri genitori che invece vorrebbero che la giovine abortisse. Al di là delle decisioni che alla fine verranno prese, si può (appena) tentare di cogliere la tragicità della circostanza che vede una ragazzina arrivare persino a minacciare l’abbandono della propria famiglia, la quale non vuole accettare una sua scelta. Quello che questa storia ci insegna è che lì dove la famiglia non arriva, perché non può oppure perché la minore non vuole coinvolgere un padre o una madre in una scelta drammatica, lì deve arrivare la scuola, se essa vuole crearsi un ruolo utile, di sostegno dello/a studente, senza lasciarlo alla solitudine, e non essere custode di un’idea patriarcale di vita, di relazioni, di una visione del mondo fatta di bacchettate sulle mani e castighi dietro la lavagna. Sarebbe interessante conoscere cosa questa esperienza abbia invece insegnato a quanti continuano a scacciare dalle responsabilità del mondo scolastico la mancanza di un ruolo a favore di una cultura della contraccezione, ma in generale del sostegno alle scelte di una vita responsabile, nella quale non si può restare schiavi di una roulette russa della famiglia aperta e comprensiva o immatura e dittatoriale. Informare vuol dire responsabilizzare e non lasciare il ragazzo alla mercè della propria condizione familiare.
Sfoglio il giornale dopo qualche giorno e leggo il caso di quella quindicenne che ha deciso di portare avanti la gravidanza contro la volontà dei propri genitori che invece vorrebbero che la giovine abortisse. Al di là delle decisioni che alla fine verranno prese, si può (appena) tentare di cogliere la tragicità della circostanza che vede una ragazzina arrivare persino a minacciare l’abbandono della propria famiglia, la quale non vuole accettare una sua scelta. Quello che questa storia ci insegna è che lì dove la famiglia non arriva, perché non può oppure perché la minore non vuole coinvolgere un padre o una madre in una scelta drammatica, lì deve arrivare la scuola, se essa vuole crearsi un ruolo utile, di sostegno dello/a studente, senza lasciarlo alla solitudine, e non essere custode di un’idea patriarcale di vita, di relazioni, di una visione del mondo fatta di bacchettate sulle mani e castighi dietro la lavagna. Sarebbe interessante conoscere cosa questa esperienza abbia invece insegnato a quanti continuano a scacciare dalle responsabilità del mondo scolastico la mancanza di un ruolo a favore di una cultura della contraccezione, ma in generale del sostegno alle scelte di una vita responsabile, nella quale non si può restare schiavi di una roulette russa della famiglia aperta e comprensiva o immatura e dittatoriale. Informare vuol dire responsabilizzare e non lasciare il ragazzo alla mercè della propria condizione familiare.
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